Uno sformato dalla consistenza irresistibilmente soffice, che al palato si scioglie, e dal profumo buono e intenso delle erbe di campagna appena raccolte. È il Tartrà (o Tartra, senza l’accento), un’antica specialità della gastronomia povera piemontese, originaria delle Langhe e del Monferrato, due territori – rinomati per i vigneti secolari che nel 2014 sono diventati Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco – dalla forte vocazione contadina, dove in passato dai pochi ingredienti che la terra metteva a disposizione nascevano piccoli capolavori del gusto, come la panada, una minestra di pane raffermo resa nutriente dall’uovo sbattuto e dal formaggio grattugiato, o i tajarin, sottili tagliatelle che venivano condite con ragù di frattaglie e fegatini di pollo. E come questo morbido budino salato, che si cucina in poco tempo mescolando latte e panna liquida con uova sbattute – che lo fanno ‘crescere’ e lo rendono simile a un soufflé – e dando sapore al composto con del grana grattugiato, una cipolla tritata finemente e rosolata nel burro, qualche foglia di salvia e di alloro, un rametto di rosmarino o di maggiorana fresca e un pizzico di noce moscata.
Cotto in forno a bagnomaria, nelle case il Tartrà è considerato una pietanza da riservare alle occasioni speciali e viene consumato di solito come secondo piatto, con un contorno di funghi porcini trifolati. Ma non era così nei secoli scorsi, quando le famiglie che vivevano nelle cascine lo mangiavano come ‘piatto unico’, cuocendolo a bagnomaria sulle stufe – il forno nelle abitazioni non c’era – e ottenendo così una sorta di crema densa, in cui intingevano il pane nero o la polenta a fette, per sfamarsi durante le serate invernali. In passato esisteva pure nella versione dolce, che ormai sopravvive soltanto in poche abitazioni, ed era preparato con scorza di limone e zucchero al posto del formaggio, della cipolla e degli aromi, e arricchito con filetti di mandorle tostate.
Nei ristoranti di Alba, Cuneo, Costigliole d’Asti e delle località vicine, invece, è servito come raffinato antipasto, assieme a due celebri salse della tradizione regionale, la bagna càuda (a base di olio extravergine d’oliva, aglio e acciughe), e il bagnet verd (con prezzemolo, aglio, tuorli d’uovo sodi, mollica di pane, olio e aceto). C’è anche chi preferisce accompagnarlo con la fonduta – un abbinamento che piace ai più golosi –, fatta con la Fontina valdostana DOP o con il Raschera DOP, un formaggio d’alpeggio piemontese dal sapore dolce e dall’aroma molto forte. L’ideale è gustarlo tiepido, così diventa più corposo e i vari sapori si amalgamano tra loro al meglio.