“U pisci ‘ddo mari, è natu ‘ppi ‘ccu si l’ha mangiari”. “O puppu, o puppu”. “E ranchi”. “U niuru da siccia”. Sono le voci inconfondibili, ma anche poco comprensibili, della Piscarìa, il mercato del pesce di Catania, uno dei più antichi del mondo, che si svolge quotidianamente nel cuore settecentesco della città.
Anticamente si svolgeva fuori le mura, a ridosso del porto; la Piscarìa occupa la sua attuale sede dall’inizio del XIX secolo, quando nel 1814, anche per la presenza della Fontana dell’Amenano, il fiume sotterraneo che sgorga nel sottosuolo, scavando nelle mura cinquecentesche venne creata una galleria con i banchi per il pesce.
Dominato dalla scritta W S.Agata, in onore della Santa Patrona della Città, che campeggia su diversi muri dei palazzi che circoscrivono le piazza principale, è caratterizzato oltre che dal luogo dove si svolge, dalla vivacità dei mercanti, dai colori dei prodotti che vi si trovano, dalla “vuciata”, l’insieme di espressioni utilizzate dai venditori per promuovere i loro prodotti che si intrecciano continuamente per tutta la mattinata. Una consuetudine ereditata dalla dominazione araba che mista ai colori, al caos di persone che si muovono tra i banchi, tra acquirenti, turisti ma anche curiosi, fa sembrare la Piscarìa più un suq islamico che un mercato del pesce.