È una delle pietanze più golose della cucina valdostana, a cui è riservato un posto speciale sulla tavola del giorno di Natale. La seuppa à la valpelleunentze (zuppa alla Valpellinese) è il piatto di uno dei più piccoli borghi italiani, Valpelline, a pochi chilometri da Aosta, incastonato tra i monti delle Alpi Pennine, in una valle incontaminata che sembra appartenere a un’epoca lontana.Un villaggio di appena 620 anime.
Più che a una vera e propria zuppa somiglia a un ricco “pasticcio”, preparato alternando strati di pane nero raffermo, cavolo verza e Fontina Valdostana DOP, bagnato con brodo e passato in forno, fino a quando sulla superficie si forma un’invitante crosticina dorata. La fontina, in particolare, durante la cottura si fonde regalando alla seuppa un tocco cremoso davvero irresistibile e rendendola a tutti gli effetti un piatto delle feste. Qualche famiglia impreziosisce ulteriormente la ricetta originale con un sostanzioso ragù bianco a base di carne di manzo tritata, lardo e pancetta, abbondanti cipolle ed erbe aromatiche.
La zuppa alla valpellinese qui è cucinata da sempre, ma soltanto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, con l’aumento del turismo in questa zona, ha cominciato a essere identificata come piatto tipico del borgo e dell’intera Valle d’Aosta, tanto che dal 2007 la ricetta è protetta dal marchio De.C.O. (Denominazione Comunale di Origine).
Tra gli ingredienti protagonisti del piatto troviamo il pane di segale, in questa regione molto più diffuso di quello di frumento – rispetto al grano, infatti, questo cereale resiste meglio alle temperature rigide e viene perciò coltivato ad alta quota. Negli anni passati, come riportato nella guida del Touring Club ai prodotti da forno del Belpaese, Pane e pizza (2004), la produzione delle pagnotte di segale, cotte nei forni comunali con la legna raccolta nei boschi circostanti, avveniva soltanto una o due volte l’anno, così nelle case il pane veniva conservato per mesi all’interno dei solai, dove “sviluppava una serie di aromi naturali per una sorta di processo di stagionatura”, diventando quindi particolarmente saporito, ma anche durissimo. Per consumarlo, le massaie lo sbriciolavano con il “copapan, una specie di piccola ghigliottina” e lo impiegavano per dare corposità alle “tipiche minestre corroboranti della cucina valdostana: la seuppa paisanne, una preparazione gratinata a base di vari formaggi locali; la seuppa valpelleunentze, con cavoli e fontina; la seuppa cogneintze, con riso, brodo e formaggio; la seuppa de l’ano, o freida, con vino rosso e zucchero… Ma talvolta il pane secco si consumava semplicemente ammollato nell’acqua, nel brodo, nel vino o nel latte, oppure veniva fritto nel burro per accompagnare il caffellatte del mattino”.