La Torta Pasqualina è una prelibatezza nata oltre sei secoli fa nelle cucine genovesi, ormai apprezzata, seppur con qualche variante, in tutta la Penisola: è formata da 33 sfoglie, in ricordo degli anni di Gesù, tirate molto sottilmente e farcite con un morbido ripieno a base di bietole, uova, simbolo di rinascita, maggiorana e prescinseua ligure, poi cotte in forno fino a diventare di un bel colore dorato.
Come è facilmente intuibile dal nome, questa golosa torta salata ha un posto d’onore nel pranzo del giorno di Pasqua, insieme ad altri piatti della tradizione gastronomica della Liguria, come le “Leitughe pinn-e” (foglie di lattuga ripiene di carne di vitello, uova, parmigiano grattugiato e maggiorana, poi cotte nel brodo), l’agnello con le patate e la famosa “cima alla genovese” (una tasca ricavata dalla pancia del vitello che racchiude interiora, piselli, pinoli, uova sbattute e spezie). Ma i genovesi la portano con sé anche durante la passeggiata o la gita fuori porta del Lunedì in Albis, con uova sode, frittata, salame di Sant’Olcese – fatto con carne suina e bovina e prodotto nel comune omonimo –, pecorino e le immancabili fave novelle.
È diffusa principalmente nel “Genovesato”, un termine coniato in epoca medievale per indicare i territori posti sotto il dominio di Genova e che oggi invece si riferisce alla vasta area che ruota attorno al capoluogo ligure, compresa tra i comuni di Arenzano e Cogoleto, sulla Riviera di Ponente, il Golfo Paradiso a est (con Camogli, Bogliasco e Recco) e le valli interne confinanti con Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna (Val Bisagno, Val Polcevera, Valle Scrivia e Val Trebbia).
La prima testimonianza scritta riguardo all’esistenza di questa pietanza risale al Cinquecento, quando Ortensio Lando, umanista milanese che condusse una vita errabonda tra l’Italia e l’Europa, nel suo Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano, del 1548, citò le “Torte pasqualinhe” o “gattafura”, una parola di origine trecentesca con la quale si indicava una ricetta a base di verdure racchiuse tra due strati di pasta.
Ma la Torta Pasqualina nacque presumibilmente almeno due secoli prima, nelle case più umili di Genova, quando, per festeggiare la Pasqua, le donne preparavano questa pietanza sovrapponendo con grande abilità le numerose sfoglie ottenute da un impasto di farina, acqua e olio – rigorosamente senza lievito –, mettendo al centro le bietole, una verdura primaverile dal prezzo accessibile a tutti, le uova – ritenute un ingrediente di lusso e riservate alle grandi occasioni – e la prescinseua, una cagliata fresca dal sapore acidulo, presente sulle tavole liguri sin dal XV secolo. Dopo aver contrassegnato il bordo con l’anagramma della famiglia, per distinguere la propria torta dalle altre, le massaie la portavano poi a cuocere nelle botteghe dei fornai.
Un’altra versione della Torta Pasqualina particolarmente conosciuta è quella con i carciofi – tagliati a fettine sottili e soffritti con un po’ di burro e cipolla – al posto delle bietole, realizzata con i prelibati carciofi spinosi di Albenga, coltivati nell’omonima piana del savonese famosa anche per la zucca (la cosiddetta “trombetta”), il radicchio e gli asparagi. A Ventimiglia, invece, il ripieno è costituito da erbette selvatiche, come ortica, songino, “caccialepre” e borragine.
[…] Genova è protagonista della Torta Pasqualina, la celebre specialità formata da 33 sottilissime sfoglie – in ricordo degli anni di Gesù – […]